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Praise of the elite

Strano è il destino di certe parole, legate in parte all’etimologia, in parte allo spirito con cui vengono usate. Ad esempio, la burocrazia, cioè il complesso amministrativo di ogni ente, non ha necessariamente il significato peggiore oggi prevalente, che evoca scartoffie, procedure macchinose o formalismi cavillosi. In Francia, la Gran Commissione di Stato, un funzionario altamente meritevole di un apparato pubblico efficiente e selezionato, è un posto molto ambito. Emanare dal modello dell’Ena (Ecole Nationale d’Administration), fondata da De Gaulle con sedi a Parigi e Strasburgo, è motivo di prestigio e orgoglio. Ovviamente, se la struttura è lenta, il personale sfaccettato oi meccanismi arrugginiti, cambierà anche l’uso e il senso della parola. Purtroppo è così in Italia: dove il destino del termine “burocrazia” sarà segnato fino a quando le normative non saranno più snelle, gli uffici più efficienti, i dipendenti più diligenti. Diciamo che la speranza è sempre legittima.

Forse il destino peggiore, e certamente ingiusto, è riservato alla parola élite. Vale a dire, la classe dirigente o gruppo di potere, che è per lo più frainteso da coloro che non ne fanno parte. Nomenklatura in russo, stabilimento in inglese. Soprattutto in tempi di diffusa sfiducia nei confronti dei leader della politica e della cultura, il termine tende a diventare sinonimo di casta chiusa, oligarchia, lobby o, peggio, congrega. Mentre nella sua accezione più nobile l’élite dovrebbe rappresentare il meglio che la società e la cultura sono in grado di esprimere, evocando valori di merito, qualità e selezione. Il bellissimo mondo, il Gotha. In francese élire significa scegliere. In latino si dice eligere. Si tratta, insomma, degli eletti, dei membri eletti, di quei soggetti giudicati i migliori e più qualificati per affidare ruoli di rappresentanza e gestione. Per Cicero,

Lasciamo che i linguisti si interroghino sul significato più corretto, e proviamo a interpretare meglio l’idea di élite: poiché, come è noto, ogni parola corrisponde a un concetto.

Comunemente domina il pregiudizio che vorrebbe che le persone e le élite si opponessero. Il despota contro il popolo, il potere arrogante contro le masse e così via. Ma qui viene trascurato un fatto centrale e decisivo: tutto – l’istituzione dominante così come il movimento antagonista – non può prescindere da un’élite, cioè da un momento di direzione e organizzazione che non può essere collettivo. I bolscevichi avevano Lenin, i giacobini Robespierre, figure della nostra rinascita come Garibaldi e Cavour. Il comunista italiano Togliatti – personaggio, per quanto giudicato, di raffinata statura intellettuale e rara intelligenza politica – fu chiamato “Il migliore” dai suoi stessi seguaci. In altre parole, l’élite è funzionale al sistema quanto all’anti-sistema. Se questo è vero, allora il concetto perde quelle caratteristiche di chiusura conservativa o gerarchia antiquata che spesso gli vengono attribuite. Oggi sembrerebbe che nella mentalità dominante prevalga lo schema primordiale dell’élite contro la popolazione, dove l’ira della plebe sale a valore e l’ignoranza a paradigma. L’esempio più comune, per citare ancora una volta il caso della Francia – si tratta di una parola francese – è dato dai cosiddetti gilet gialli: che spesso si scagliano, spesso in modo grossolanamente fisico, contro l’Eliseo o i suoi simboli . Per il momento il movimento non è andato oltre un generale malcontento, senza contenuti o riferimenti culturali – come erano stati Sartre e Marcuse a maggio a Parigi, o l’Illuminismo nel 1789 – né voci o interlocutori capaci di relazionarsi con le istituzioni.

L’élite ha sempre trasformato la massa in civiltà, l’insorgente in un cittadino, la curiosità in cultura: scuola, apprendimento, formazione. Screditarla non è democratica ma sciocca, ed equivale a un impoverimento generale.

Gian Luca Caffarena

Team  CCLC

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